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L'autore: Matthew May è un esperto, riconosciuto a livello internazionale, delle strategie di cambiamento, innovazione e design. E' l'autore di "The Shibumi Strategy: un modo potente per realizzare cambiamenti significativi (Jossey-Bass, 2010) e di "Pursuit of Elegance: perché le idee migliori mancano di qualcosa" (Crown Business, 2009). Ha creato il sito specializzato: edit innovation.

 

Matthew May

 

 

 


 

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Spazi condivisi:

il concetto di spazio condiviso
(cliccare per ingrandire)

 

Laweiplein era l'incrocio più pericoloso nella città di Drachten,in Olanda.

Nell'immagine qui sopra lo vediamo prima della ristrutturazione (cliccare per ingrandire).

E' stato trasformato in una rotonda dallo spazio condiviso (immagini qui sotto). Si tratta di uno dei più noti esempi di spazio condiviso in un incrocio trafficato. Il traffico è praticamente auto gestito dagli utilizzatori che così sono incoraggiati ad assumersi più responsabilità per il loro comportamento.

 

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Copyright 2018 - Matthew May ©





Zen e l'arte della semplicità al lavoro

di
Matthew May

 

 


 

 



L'ideale estetico Zen denominato Shibumi definisce gli oggetti e le esperienze che risultano belli in maniera diretta, semplice, senza eccessi: la cui caratteristica è l'elegante semplicità, l'efficacia senza sforzo e la suggestiva imperfezione.

 

Parlando dell'estetica Zen, ciò che rende Shibumi particolare, come potente ideale di design, è la combinazione unica di rara semplicità e impatto sorprendente.

Comporta il raggiungimento del massimo effetto con il minimo sforzo, che in realtà è un esercizio universale utilizzato in molte forme: artisti e designer, infatti, utilizzano lo spazio bianco o 'negativo' per trasmettere potenza visiva; scienziati, matematici e tecnici di ricerca lo usano per le teorie che spiegano i fenomeni altamente complessi in modo incredibilmente semplice.

 

Ciò che queste varie forme hanno in comune, è proprio la caratteristica principale dello shibumi: l'elemento della sottrazione.

Il pensiero di sottrarre qualcosa al fine di creare valore, non è solo un modo molto diverso di pensare (neuroscienziati hanno dimostrato, utilizzando scansioni funzionali MRI, che addizione e sottrazione interessano circuiti cerebrali differenti), ma è la chiave di volta dello Zen.

La domanda che ne deriva è: come si applica nella realtà questa qualità elusiva?

Cercando la risposta diamo un'occhiata ai principi di progettazione specifici dello Zen, che individuano e sostengono la ricerca dello shibumi e poi, alle loro applicazioni pratiche per le progettazioni di business e lavoro.

 

1. Koko (austerità)

 

Il primo principio è quello denominato Koko, che enfatizza la moderazione, l'esclusione e l'omissione, abbracciando l'idea che 'non aggiungere' è un valido approccio sottrattivo.

C'è una foto illuminante del giovane Steve Jobs (un praticante buddista) scattata intorno al 1982, seduto nel mezzo del salotto della sua casa di Los Altos.

Nella stanza non c'è molto, un sistema audio e una lampada Tiffany. Steve lavora sorseggiando un tè, seduto alla maniera yoga su una stuoia, con pochi libri intorno a lui.

L'immagine spiega più di molte parole la filosofia di progettazione di ogni prodotto Apple realizzato sotto la sua direzione e aiuta anche a spiegare la sua avversione per i pulsanti.

Oltre l'ovvio fatto che iPod, iPad e iPhone sono praticamente senza bottoni, raramente si è visto Steve Jobs indossare una camicia abbottonata.

Non a caso ha fatto rimuovere anche i pulsanti dagli ascensori negli Apple Store multipiano.

 

Lezione di design Zen #1: astenersi dall'aggiungere ciò che non è assolutamente necessario.

 

2. Kanso (semplicità)

 

Kanso impone che bellezza e utilità non debbano essere eccessivamente caricati, decorativi o fantasiosi preferendo un senso di freschezza, pulizia e ordine.

Un grande esempio di software Kanso, per quanto riguarda design e funzionalità, è Instagram. Si tratta di un'applicazione di condivisione foto per iPhone meravigliosamente semplice e divertente creata da Kevin Systrom.
Instagram consente all'utente di scattare una foto, scegliere un filtro per trasformare l'aspetto della foto in un'opera d'arte e condividerlo attraverso i social media.

Ma la prima realizzazione di Systrom (che si chiamava Burbn) era una applicazione piena di opzioni che mancava di semplicità e, quindi, aveva pochissimi utenti. Eliminando il disordine e creando un procedimento razionalizzato che le persone sono in grado di capire capire ed usare, divertendosi, entro 30 secondi, Instagram ha raggiunto i 2 milioni di utenti in soli quattro mesi.

 

Lezione di design Zen #2: eliminare ciò che non serve per fare più spazio per ciò che si utilizza.

 

3. Shizen (naturalità)

 

Shizen vuole trovare un equilibrio tra l'essere contemporaneamente 'naturale', ma con una propria distinzione, e l'essere visto senza pretese, senza artifici, non forzato, per essere considerato come intenzionale piuttosto che accidentale o casuale.

Quando Ben Hamilton-Baillie esperto di progettazione urbana nel Regno Unito ha elaborato gli "spazi condivisi" nei dintorni di Kensington High Street e Sloane Square a Londra, si è rifatto all'esperienza degli incroci di grande traffico olandesi, a loro volta ispiratisi allo Shizen, che sono stati ridisegnati privi di controlli, seguendo il principio dello spazio condiviso.

In queste intersezioni di spazio condiviso, i cordoli sono stati eliminati, l'asfalto sostituito con mattoni rossi e sono state realizzate fontane, giardini e dehor di caffé.

Quando si arriva a questi incroci, si può solo rallentare per partecipare a questo tipo di interazione usando l'intelligenza.

Il risultato è un ordine organico, naturalmente autogestito che ha ridotto della metà gli incidenti e del doppio il flusso di veicoli. L'unica regola è guidata dal contesto: i soggetti responsabilizzati devono utilizzare la loro testa per controllare la situazione e questa interazione comporta il rispetto per le persone più vulnerabili.

 

Lezione di design Zen #3: incorporare modelli e ritmi naturali quando si progetta una soluzione.

 



 

4. Yugen (sottigliezza, implicazione)

 

Il principio di Yugen individua il punto di vista Zen secondo cui il potere della suggestione spesso è più forte di quello della manifestazione: lasciare qualcosa all'immaginazione crea un'irresistibile aura di mistero, che lascia a noi lo spazio (e lo stimolo) per trovare risposte convincenti.

La seduzione si trova in ciò che non conosciamo, perché ciò che non conosciamo ci interessa di più di quello che sappiamo, infatti siamo curiosi per natura.

La Apple ha usato lo yugen nella sua strategia di marketing per il lancio del primo iPhone, nei mesi che precedettero al suo lancio nel giugno del 2007. Si è trattata della strategia più innovativa e di successo che sconvolto le regole del mercato.

Per accendere l'interesse su qualcosa solitamente la si doveva promuovere e spingere pesantemente attraverso marketing e media.

Apple ha fatto l'esatto contrario.

Steve Jobs l'ha fatto vedere al Macworld 2007 solo una volta, proponendo una presentazione magistrale e stuzzicante sei mesi prima del lancio previsto.

E nei sei mesi successivi? Silenzio completo.

Senza pubblicità, senza lanci per i media, senza sconti di prezzo, senza nessuna demo per gli appassionati di tecnologia, senza alcuna pre-ordinazione. Silenzio assoluto.

Questo scatenò l'interesse e la curiosità, blogger, giornalisti e specialisti si scatenarono con ipotesi, previsioni e anticipazioni personali creando un'aspettativa che indusse 20 milioni di persone a precipitarsi ad acquistarlo non appena fu sul mercato.

 

Lezione di design Zen #4: limitare le informazioni e lasciare spazio all'immaginazione e alla curiosità

 

5. Fukinsei (imperfezione, asimmetria)

 

L'obiettivo del Fukinsei è di sollecitare la naturale inclinazione umana a cercare la simmetria.

Quasi tutto in natura è simmetrico, si tratta del principio organizzatore predominante dell'universo, la legge fisica dell'equilibrio.

Ma poiché è così prevalente, diamo spesso la simmetria per scontata, fino a quando è presente.

David Chase, creatore della serie televisiva "i Soprano", ha utilizzato questo principio per l'ormai famigerato episodio finale.

I Soprano è una serie televisiva, durata otto anni, su una banda di criminali organizzati nel nord del New Jersey, capeggiata appunto da Tony Soprano. C'è stato un grande interesse per l'episodio finale, reso speciale perché scritto e diretto dallo stesso Chase.

Il finale della serie è volutamente rimasto aperto e ambiguo, soggetto a interpretazioni opposte soprattutto riguardo alla considerazione fondamentale: Tony Soprano muore oppure no?
L’ultima scena si svolge in un ristorante: Tony è in procinto di cenare con tutta la famiglia. Aspettano solo Meadow, la figlia maggiore, che non riesce a parcheggiare l’auto nella strada di fronte. Il jukebox del tavolo rimanda la canzone “Don't stop believing” dei Journey, nel locale ci sono vari clienti, tra cui una coppia di ragazzi neri e un uomo con una giacca grigia che a un certo punto si alza e va al bagno (alle spalle di Tony). Nel frattempo Meadow arriva, il suo ingresso è anticipato dal suono della campanella posta davanti alla porta. Tony alza lo sguardo verso l’ingresso. Buio. La musica si interrompe bruscamente. Fine.

Lo schermo rimane nero per dieci secondi per poi lasciare spazio ai titoli di coda.

Inizialmente pochi capirono cosa era successo, molti pensarono che i cavi di trasmissione si fossero temporaneamente staccati o che il segnale fosse caduto. Insomma la solita 'simmetria' televisiva era venuta a mancare.

Ma il finale proposto da Chase aveva risolto un vero dilemma: se avesse fatto uccidere Tony, avrebbe alienato la metà del suo pubblico (che aveva simpatia per Tony) e le possibilità per realizzare un film o magari continuare la serie; ma se lo avesse lasciato vivere, avrebbe deluso l'altra metà del pubblico, che odiava Tony in quanto davvero cattivo. Non solo, questo finale aperto scatenò le ipotesi e le congetture di tutti: ognuno diede una sua propria fine alla storia, dopo tre giorni altri 25 milioni di persone avevano visto o rivisto l'episodio, mentre si aprivano siti internet che proponevano il loro personale finale.

 

Dopo qualche anno la serie è ancora viva nel ricordo e nell'interesse degli spettatori che continuano a dibattere su quale sia stato il finale. David Chase non ne ha mai più parlato, rilasciando solo un unico commento nel suo libro The Sopranos: The Complete Book: "Tutto quello che c’è da sapere è in quell’episodio, nell’episodio precedente, e in quello prima ancora, e nella stagione precedente e così via. Insomma, è nella serie che trovate le indicazioni su come è la fine dei Soprano. Penso sia una gran cosa che la gente faccia congetture sulla serie, ma non ho intenzione di spiegare, difendere, reinterpretare o aggiungere qualcosa a quanto avete già visto.

 

Negando l'abituale simmetria al pubblico, lasciando la storia incompleta e imperfetta e richiedendo al pubblico di completarla a suo piacimento, David Chase è riuscito a triplicare il suo impatto.

 

Lezione di design Zen #5: lasciare spazio agli altri di co-creare con voi; fornire una piattaforma per l'innovazione aperta.

 

Per chiudere possiamo osservare che anche se non è facile realizzare il concetto di Shibumi, i cinque principi proposti, se presi nel loro insieme come un corpo coerente di elementi di progettazione, possono guidare e ispirare il vostro lavoro.

Tenete presente che molto spesso nella vita, anche se qualcosa sembra semplice e agevole, ci vuole un grande sforzo e una notevole capacità per conseguire tale stato.

 


 

Sull'argomento consulta anche:

 

Bill Gates, Steve Jobs e l'estetica Zen - di Garr Reynolds

Estetica Zen per Design e Fotografia - di Garr Reynolds

Wabi Sabi: imparare a vedere l'invisibile

I fondamenti dell'Architettura giapponese: i Giardini - di Carlos Zeballos

Architettura tradizionale giapponese - di Jeffrey Hays

Estetica Giapponese - lo studio della bellezza nel pensiero nipponico dalle origini fino al cinema

Spontaneità nell'Arte e nella Cultura giapponese (cap. 1) a cura di David e Michiko Young

Shodo: Arte della calligrafia giapponese Zen a cura di Yuko Halada

Haiku: poesia della gente (Introduzione alla poesia Zen) - di Kei Grieg Toyomasu

Le tecniche dell'Haiku - di Jane Reicchold

Galleria di fotografie ispirate dai componimenti Haiku

La fotografia Sumi-e di Marcel Rawady

 



 

 

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